Dalla pubblicazione nel 1862 della Sorcière di Jules Michelet e soprattutto all’indomani della rivalutazione di questo studioso “anomalo”, che conobbe una lunga fase di oscuramento in età positivista, ci si è spogliati, benché faticosamente e peraltro non del tutto, dallo stereotipo che vedeva la strega come una figura inquietante e ingombrante, dedita a pratiche malefiche, strumento del demonio.
In realtà, come aveva argomentato il grande storico francese, questo stereotipo andava storicizzato, perché, è solo a partire dal basso Medioevo che si abbattono su di lei le reazioni ben note di una società che si sta incamminando verso una medicina ufficiale, accademicamente arroccata nei quadri istituzionali del potere e del sapere. Una scienza ufficiale che vede nella strega la concorrenza e quindi procede a una sua progressiva criminalizzazione, demonizzazione e, in ambito folklorico, ridicolizzazione. Al di là dei roghi e pur con le anticipazioni piuttosto sfilacciate del secoli precedenti, la lotta diventa dura e senza quartiere soprattutto a partire dal Quattrocento, quando la Chiesa si trova posta sotto assedio su molteplici fronti.
Le tappe più note di questo processo sono note e vanno dalla bolla “Summis desiderantes affectibus”, promulgata da papa Innocenzo VIII nel 1484, al Malleus maleficarum (manuale rigorosamente declinato al femminile) degli inquisitori domenicani Heinrich Kramer e Jacob Sprenger, dato alle stampe nel 1486 e divenuto ben presto un best seller, alla Strix di Giovan Francesco II Pico, fino all’aspro dibattito sulle “lamie” che vide contrapposti in Italia, alla metà del Settecento, il nobile erudito veronese Scipione Maffei e lo studioso roveretano Girolamo Tartarotti. Dibattito che, al di là delle rispettive posizioni, testimoniava ancora una volta come la dotta ignoranza del secolo dei Lumi intendesse proiettare questo problema nel campo delle anticaglie: banalizzandolo.
Con il risultato che da allora in poi, sempre più frequentemente, il mondo delle streghe si verrà popolando di befane e fattucchiere, scope e pentoloni, sortilegi e abracadàbra e tutto l’armamentario che siamo solitamente abituati a ricollegare a un luogo comune di cui sembra sempre più difficile disfarsi: tra gli antidoti da consigliare potrei suggerire una attenta lettura del romanzo storico La Chimera di Sebastiano Vassalli, del quale mi permetto di segnalare in bibliografia una edizione commentata ad uso delle scuole.
Si perdeva così nelle secche dell’appiattimento storico e storiografico l’immagine positiva della strega alto medievale: la strega domestica, dedita alla cura del corpo, alla preparazione di infusi, decotti e medicamenti di vario tipo, fondamentali in una società che non conosceva ancora le farmacie e gli ospedali, né tantomeno le facoltà di medicina.
Non è un caso allora se nella riabilitazione di questa figura al primo posto emerge lo studio delle erbe, che sono patrimonio dell’universo femminile, ma in particolare delle streghe, con le quali le donne sono state spesso identificate, se non altro perché dal peccato della mela in poi hanno detenuto il patrimonio domestico del cibo e della cura del corpo, dall’atto del concepimento all’ultimo addio.
Ne è derivato, anche se non di rado distorto e dozzinale, il successo editoriale che in tempi recenti hanno avuto e continuano a detenere le opere della medichessa bizantina Metrodora, della magistra salernitana Trotula de Ruggiero, della profetessa renana Ildegarda di Bingen: tutte protese a una gioiosa rivalutazione del corpo, sia maschile che femminile.
Si tratta di un potere strategico e immenso che ha creato tra uomo e donna una sorta di “attrazione armata”, tra i cui risultati più drammatici va appunto annoverata la caccia alle streghe, che però non deve far dimenticare la delicata quanto robusta quotidianità di gesti, attenzioni, saperi, che, attraverso la preparazione di cibi, decotti, tisane, creme, aromi e profumi, consolidano il riconoscimento di una sensibilità e di un protagonismo femminile che non cessa mai di stupire i maschi: perfino i più rozzi.
Su questo percorso si è cimentata l’autrice di questo volume che da un lato traccia la storia di una peculiare e plurisecolare riaffermazione delle abilità e delle seduzioni femminili in questo campo, dall’altro fornisce una ricca antologia ragionata di piante, erbe, radici attraverso la cui abile manipolazione la donna si trasforma in strega, nel senso più nobile del termine: curatrice e incantatrice al contempo.
E fra le tante erbe buone e le tante ricette citate, mi piace concludere con la malva, di cui la studiosa ricorda che questa omnimorbia, come la definivano i Romani, richiama l’amore materno, perché come una madre cura tutte le ferite e addolcisce la vita.
(Bruno Andreolli - Università degli Studi di Bologna)
Rosella Omicciolo Valentini ha collaborato per anni con “Cronache
Medievali”, periodico di studi medievali, con due rubriche fisse: “In taberna” (cucina medievale) e “Il giardino dei semplici” (erboristeria medievale).
Da tempo fa parte della L.A.R.T.I. (Libera Associazione Ricercatori Templari Italiani).
Collabora con il sito del "Festival del Medioevo" di Gubbio con articoli di cucina ed erboristeria medievale.
Per le Edizioni Penne & Papiri ha pubblicato: “Mangiare medievale”, “Mangiare nelle taverne medievali”, "Alla tavola del nobile medievale".
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